Una persona difficile, fuori dal comune, ma allo stesso tempo il miglior padre che un figlio possa desiderare. Questo il ritratto che Pierfrancesco Villaggio (detto Piero) ha tracciato di suo papà Paolo, in occasione della presentazione del documentario La voce di Fantozzi, che ha ottenuto numerosi consensi alla 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, dove Vero lo ha incontrato.
Piero Fantozzi, da dove arriva l’idea del documentario?
«È nato tutto per caso. Prima abbiamo realizzato un audiolibro, poi con i due produttori, Daniele Liburdi e Massimo Mescia, che mio padre chiamava “gli avventurosi” per il loro coraggio e la loro determinazione, abbiamo pensato a un vero e proprio docu-film. E pensare che, secondo loro, la preparazione di questo lavoro doveva proseguire al massimo per tre o quattro giorni. Alla fine
ce ne sono voluti molti di più, dal momento che c’era tanto materiale interessante. Dopo un lungo e minuzioso lavoro è nato il progetto, di cui vado particolarmente fiero. Negli ultimi anni sono stato spesso con mio padre, anzi, direi che condividevo totalmente la mia quotidianità con lui. Lo seguivo in tutto, un po’ per occuparmi dell’assistenza legata alla sua malattia, un po’ per seguire anche tutto ciò che riguardava la sua sfera professionale».«Si è aggravalo all’improvviso»
Tuo padre è venuto a mancare proprio durante la lavorazione del docufilm.
«Sì, anche se, in tutta sincerità, non pensavo che sarebbe venuto a mancare così presto. Purtroppo le sue condizioni di salute si sono aggravate all’improvviso e alla fine è successo quello che tutti sappiamo. Ringrazierò sempre le persone che mi hanno coinvolto in questo progetto, perché mi hanno dato la possibilità di stare più tempo con mio padre. Per me nulla ha più valore».
Hai dichiarato, infatti, che grazie a questo documentario hai avuto modo di legarti ancora di più a lui.
«Lo confermo. Abbiamo creato un rapporto forte, come mai eravamo riusciti a fare in cinquant’anni. Mio padre non era una persona comune, non è mai stato facile rapportarsi a lui. A ogni modo, considero una grandissima fortuna il fatto di aver avuto un padre come lui, questo documentario rappresenta la migliore conclusione del nostro cammino insieme».
Qual è l’eredità più grande che ha lasciato al pubblico Paolo Villaggio?
«Mi ha fatto un grande effetto assistere alle tantissime dimostrazioni di affetto che le persone hanno avuto nei suoi confronti, al suo funerale ma anche prima che morisse, durante le ultime serate che ho fatto con lui. Arrivavano da parte di tutte le generazioni: dai ragazzini di vent’anni sino alle persone più anziane. Ciò significa che deve aver rappresentato un personaggio veramente importante per molta gente. E non può che farmi molto piacere».
«Un ottimo rapporto con laVukotic»
C’è un lato del carattere di Paolo Villaggio che il pubblico ancora oggi non conosce e che ti piacerebbe rivelare ai nostri lettori?
«Papà era una persona abbastanza burbera, non era facile stargli vicino. Poi, con il tempo, diventava più malleabile con le persone. Però, in linea di massima, era un uomo molto “musone”».
Sono tantissimi i colleghi che oggi onorano tuo padre. Ma quando era in vita, che legame aveva con gli altri attori presenti nei suoi film?
«In tutta sincerità, ha sempre avuto un rapporto molto stretto con Milena Vukotic, che nella saga di Fantozzi interpretava sua moglie Pina. Ma anche con Clemente Ukmar, la sua controfigura in tutti i suoi film. Con gli altri, onestamente, manteneva un ottimo rapporto solo quando era sul set, ma una volta spenti i riflettori li perdeva un po’ di vista».
Secondo te esiste, oggi, un erede artistico di Paolo Villaggio?
«Sinceramente non saprei dirlo… Ecco, ricordo che a mio padre piaceva molto Luca Medici,.in arte Checco Zalone. Lo apprezzava tanto e me lo aveva fatto presente più volte. Anche per questo motivo, probabilmente, potrebbe essere proprio Checco Zalone il suo erede. Certo, si tratta di un mio parere: insomma, a questa domanda avrebbe dovuto rispondere mio padre».
Nei capitoli della saga di Fantozzi sono state affrontate diverse problematiche, come la malasanità e la disoccupazione, che poi negli anni si sono trasformate in
vere e proprie piaghe del nostro Paese.
«Questi temi nei film venivano amplificati, romanzati, ma c’era sempre un fondo di verità. Non a caso, quelle problematiche sono diventate le piaghe che ancora oggi fanno male all’Italia. Papà aveva vissuto in prima persona il rapporto complicato degli impiegati con il proprio lavoro».
In che modo? Spiegaci meglio… *
«Prima di diventare un attore affermato, mio padre aveva lavorato all’Italsider per diversi anni. Di conseguenza, aveva toccato con mano tutti quei problemi con cui facevano i conti gli impiegati durante i loro turni di lavoro. E per questo che, molto spesso, alcune situazioni narrate nei suoi film erano incentrate su tale aspetto. In un certo senso, ha anticipato i fatti che accadono oggi. Un po’ come Alberto Sordi quando portava in scena il “brutto” degli italiani, la mediocrità, un’altra piaga del’nostro Paese»
Da Vero