Quando incontriamo Paolo Ruffini poco prima della presentazione del suo libro Telefona quando arrivi (Sperling & Kupfer), per uno strano caso fortuito l’attore e conduttore livornese ha appena incrociato sulla sua strada, seppur per pochi attimi, Maurizio Nichetti, istrionico regista, sceneggiatore e interprete che, con i suoi lavori originali e fantasiosi, ha contribuito a caratterizzare gli Anni ’80 e ’90 al cinema e in Tv. I due si salutano affettuosamente.
«Sono cresciuto con i cartoni»
«Lo amo tantissimo. È un grandissimo artista»,
ci spiega Ruffini. E aggiunge:
«Io e Nichetti ci siamo conosciuti anni fa perché gli avevo scritto – sono un suo fan di vecchia data, infatti – e poi, nel tempo, è venuto spesso a vedermi a teatro. Alcune sue opere come Ratataplan e Volere volare rappresentano un mix fantastico di commedia e animazione».
proprio a una certa nostalgia per quei tempi Paolo ha dedicato il suo libro, una sorta di omaggio, come afferma lui stesso, «all’ultima generazione che ha fatto tutta la scuola senza cellulare. A quelli che sono cresciuti con i cartoni animati e i pupazzi alle quattro del pomeriggio in Tv. Oggi, alla stessa ora, da una parte c’è La vita in diretta, dall’altra Barbara d’Urso…», dice Ruffini che, con lo stesso tono leggero e scanzonato, ripercorre certi ‘”cult” della sua infanzia e della sua adolescenza.
«Mi sento vecchio a bestia, e invece non sono passati settantanni, ma era ieri l’altro!»,
scherza ancora Paolo Ruffini, che è fidanzato con Diana Del Bufalo, la cantautrice e attrice che in televisione ha esordito ad Amici 2011. Sulla sua partner Ruffini non si pronuncia, però la cita nel libro, definendola «meravigliosa» e ricordando quando l’ha notata per caso tramite un video su YouTube. Da lì al palco di Colorado (che hanno condotto insieme nel 2015), il passo è stato breve. Ma, alla fine del l’intervista, l’attore ci regala una “chicca” sull’amore…
«Si fa fatica a capirei giovani»
Come mai dici di “sentirti vecchio a bestia”?
«Perché non mi rendo conto se in questo momento è in corso un vero spartiacque a livello emotivo, umano e sociale oppure se è uno dei tanti periodi in cui ci si trova a pensare che si fa fatica a comprendere i giovani, rispetto ai quali si parlano linguaggi diversi».
Si nota una punta di rammarico nelle tue parole…
«Stanno scomparendo le cartolerie e i giornalai. Sta cambiando il nostro senso del proibito e del ridicolo. E quello, secondo me, non sta andando verso un’evoluzione positiva. Mi spaventa il fatto che ci possa essere meno memoria a livello mentale, mentre tutto viene immagazzinato e registrato su qualche dispositivo digitale. Non c’è più un’idea fantasiosa del futuro: è come se avessimo già visto ogni cosa, mentre, quando ero bambino io, sono stati realizzati film come 1997: Fuga da New York o 2001 – Odissea nello spazio. E poi mi spaventa che, per chi nasce oggi, si presentino delle difficoltà social, che finiscono per far diventare qualcuno, semmai, “asocial’’… E bello, invece, soprattutto quando si è piccoli, che continui a esserci l’incanto, la meraviglia».
Paolo Ruffini nel libro affermi che oggi c’è un unico grande divo, Checco Zalone. Perché?
«Sì, perché a parte che è un genio della risata, è un artista che fa dell’assenza una sua arma vincente: esce con un film ogni due o tre anni, ma poi non lo vedi in giro. Nessuna intervista, nessuno spot. Quando ho finito di scrivere il libro, Zalone, in effetti, è comparso in una pubblicità, ma si trattava della campagna sociale sulla disabilità (a favore della ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica, ndr), peraltro stupenda. L’ha fatta nell’unico modo in cui, secondo me, va approcciato questo genere di iniziative, senza moralismi- o quel timore reverenziale che riporta sempre all’ordine: “Sono temi seri”. Certo che lo sono, ma la formalità sarebbe una forma di distanza. Non ti fa avvicinare ai portatori di handicap. anzi. Non è un’inclusione, ma una esclusione».
E tu ne sai qualcosa: a gennaio riprenderai infatti la tua tournée teatrale Un grande abbraccio, un progetto che ti vede coinvolto sul palcoscenico insieme ad alcuni ragazzi down.
Dice Paolo Ruffini
«Io m’annoio spesso, ho costantemente bisogno di stimoli. Con loro non mi succede, mi arricchisco. E così accade a loro, a cui mi dicono che l’esperienza faccia bene. Fa bene pure al pubblico. È una forma di terapia per tutti, insomma! L’abbraccio ha proprio questi significati: di accoglienza, di misericordia, di apertura».
In questi giorni ti stiamo vedendo al cinema in un cinepanettone. Natale a Londra, con Lillo e Greg, con cui avevi già recitato in Natale col boss. Che ruolo interpreti Paolo Ruffini?
«Le vicende ruotano attorno a una banda di “soliti ignoti” che decide di rapire i preziosi cani della Regina d’Inghilterra per chiedere un riscatto. Io sono innamoratissimo di una chef che è titolare del ristorante dove lavoro. Sono un tipo pavido e molto poco coraggioso. A un certo punto lei, che è tremenda. mi chiede: “Ma perché mi ami?”. E io la guardo e le dico: “Perché sì”. Dando, così, la risposta più “cuccio-lotta”, semplice e vera che ci sia!».
Da Vero