Annamaria Bernardini De Pace, Alessandra Mussolini, ma anche la brigatista Adriana Faranda e “Lady Camorra” Cristina Pinto. Donne che, nel bene o nel male, hanno lasciato il segno nella storia del nostro Paese. Sono alcune delle figure femminili che la giornalista Francesca Fagnani racconta in Belve, il suo nuovo programma Tv in onda da mercoledì 14 marzo sul canale Nove di Discovery Italia.
«Con le unghie e coni dentili
Da cinque anni legata sentimentalmente a Enrico Mentana, il direttore del telegiornale de La7 che negli anni Ottanta ha creato il TG5 di Mediaset, la Fagnani ha deciso di lasciare i panni dell’inviata per condurre un programma in cui racconta come queste donne forti si sono realizzate, grazie alla tenacia, anche in ambienti fortemente maschili.
Francesca, hai lavorato come inviata di Gianni Minoli, Michele Santoro e Massimo Giannini. Ora che cosa ti ha spinta a raccontare l’universo femminile?
«Sempre più spesso il mondo delle donne è raccontato con i toni del vittimismo, attraverso i casi di diritti negati o peggio con le tragedie del femminicidio: temi fondamentali che vanno assoluta-mente affrontati, ma io volevo raccontare un’altra faccia delle dorme. Le mie “belve” si sono conquistate un posto nel mondo non tanto grazie alle quote rosa, ma perché se lo sono preso con le unghie e con i denti».
Francesca Fagnani perché hai voluto chiamare queste donne “belve”? È un termine forte.
«Cercavo un termine che riassumesse “forza” e “determinazione”. Ho pensato a “leonesse”, “iene”; ma questi vocaboli erano riduttivi, non mi convincevano. Poi la mia amica Irene Ghergo (autrice televisiva, ndr) mi ha suggerito “belve” e non ho avuto dubbi. Sì. è un termine forte, tanto che alcune delle donne che ho incontrato non l’hanno apprezzato inizialmente, ma poi hanno capito che non ha una connotazione negativa».dubbi. Sì. è un termine forte, tanto che alcune delle donne che ho incontrato non l’hanno apprezzato inizialmente, ma poi hanno capito che non ha una connotazione negativa».
Come avete scelto le donne da intervistare?
«Ci sono donne molto famose e altre meno conosciute, tutte però con un ruolo importante nella storia del nostro Paese. Ho intervistato la politica Alessandra Mussolini, l’attrice Giuliana De Sio e la criminologa Roberta Bruzzone. Ma anche Marina Cicogna Mozzoni Volpi di Misurata, una delle protagoniste della dolce vita romana degli anni Sessanta che ha prodotto grandi film, Francesca Immacolata Chaouqui, coinvolta nello scandalo Vatileaks. e Cristina Pinto, nota anche come “Lady Camorra” o Nikita, la prima l donna killer della camorra 1 che oggi si è rifatta una vita dopo 22 anni di carcere».
C’è qualcuna che ti ha colpita più delle altre Francesca Fagnani ?
il «No. Ognuna di loro ha scelto di raccontarsi mettendo in luce anche i lati più oscuri del suo carattere. In ogni storia ho cercato di tirare fuori la determinazione e la grinta che hanno pollato queste donne ad affermarsi e a distinguersi. Comunque, su otto intervistate sette mi hanno colpito positivamente, una invece in modo negativo».
Ci dici il nome?
«Preferisco non fare il nome, ma lo intuirete quando vedrete la sua intervista».
Hai incontrato anche l’ex brigatista rossa Adriana Faranda. Perché hai voluto darle voce?
«È stata una dirigente delle Brigate Rosse, ed è sicuramente un esempio negativo: ha partecipato al rapimento di Aldo Moro, poi ucciso il 9 maggio del 1978. E una donna che ha pagato le sue scelte in prima persona. Per esempio, quando ha deciso di seguire le Br, ha abbandonato la figlia di 5 anni ed è andata a vivere in clandestinità. E poi ha scontato 14 armi di carcere: si è assunta le sue responsabilità, anche dissociandosi dal terrorismo. Sbagliando e pagando, è stata protagonista^ della storia del Paese».
È un’intervista che farà discutere, visto che proprio in questi giorni si commemorano i 40 anni dal massacro di Moro e della sua scorta.
«L’ho messo in conto. È stato difficile convincere la Faranda a parlare, non voleva: vuole solo essere dimenticata. Quando me la sono trovata davanti, seduta in studio, è stato ancora più faticoso. Lo vedrete: prima di rispondere alle mie domande sospirava, le sue parole sembravano pietre. È stato un incontro drammatico».
Alcune delle “belve” che hai incontrato hanno messo la loro intelligenza al servizio del male. Ci può essere perdono per loro?
«Questa domanda mi mette in difficoltà, il perdono è un fatto soggettivo. Se fossi nei panni dei parenti delle vittime non credo sarei in grado di perdonare. Ma reputo molto bello quello che ha fatto Agnese, la figlia di Moro, che ha scelto la strada del perdono. Una decisione sofferta che l’ha aiutata ad andare avanti per non continuare a essere una vittima, prigioniera del passato».«Questa domanda mi mette in difficoltà, il perdono è un fatto soggettivo. Se fossi nei panni dei parenti delle vittime non credo sarei in grado di perdonare. Ma reputo molto bello quello che ha fatto Agnese, la figlia di Moro, che ha scelto la strada del perdono. Una decisione sofferta che l’ha aiutata ad andare avanti per non continuare a essere una vittima, prigioniera del passato».
Hai incontrato anche t’avvocato matrimonialista più famosa d’Italia, Annamaria Bernardini De Pace.
«Una “belva” sociale, che è riuscita a emergere in un ambiente tipicamente maschile, diventando la matrimonialista più brava e conosciuta. Il suo contributo è stato importante per l’emancipazione femminile: ha aiutato le donne ad avere una maggiore consapevolezza dei propri diritti. Al di là della sua bravura professionale, incontrarla è stata una sorpresa: si è rivelata simpatica e autoironica. Me l’aspettavo più rigida: mi ha spiazzata!».
«Essere un po’ belva non fa male»
Però negli ultimi anni Bernardini De Pace difende più uomini che donne nelle cause di separazione.
«Sì, oggi il 70 per cento delle persone che difende in tribunale sono uomini, la parte più debole dei matrimoni: sempre più spesso sono le donne ad avere la meglio, dimostrando anche di essere feroci. Mi ha spiegato che se un uomo non è in grado di gestire ima separazione, con i suoi costi, allora è meglio che non si metta nella condizione di essere in difetto con la moglie. In pratica, è meglio che non la tradisca».
Ma per riuscire a emergere nella nostra società unadonna è obbligata a diventare “belva”?
«Diciamo che essere un pochino “belva” non fa male. Avere consapevolezza di sé e sapere dove si vuole arrivare è molto importante per affermarsi. Ma se essere “belva” funziona per conquistarsi uno spazio nella società oppure nella professione, in famiglia, con gli amici o in amore invece non serve».
Anche perché le donne troppo sicure di sé fanno paura agli uomini. È così?
«Per la mia esperienza è vero: la “donna’ belva” fa paura all’uomo, che teme
il confronto o di non essere all’altezza. L’ho notato anche in studio, mentre giravamo il nostro programma».«lo e Enrico? Siamo due “cuccioloni”»
In che senso?
«Alcune ospiti hanno messo in soggezione i miei collaboratori maschi. E ora che me lo fate notare, posso dirvi che tutte le mie intervistate hanno delle situazioni sentimentali complesse o non “banali”».
Tu fi ritieni una “donna belva”?
«Diciamo che ci sto lavorando. Comunque, se me lo dicessero mi farebbe piacere».
Francesca Fagnani e il tuo compagno Mentana è in grado di domarla?
«Con lui non sono per niente belva. Abbiamo due caratteri forti, ma alla fine siamo due “cuccioloni”, anche se leggere questa parola farà diventare Enrico una “belva”!».
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