Vivere per inseguire sogni: questa è la filosofia di Simone Moro, il “re degli ottomila” che detiene il record di maggior numero di ascensioni invernali. Alpinista bergamasco, nato in quella zona di montagne “minori” che fin da piccolo scrutava ed esplorava con amore. Un’attrazione che nel tempo è diventata un lavoro e a 52 anni lo spinge sempre ad arrivare in vetta, solo per la voglia di conquista, di libertà, di scoperta. «Un amore dove il cuore deve essere tenuto a bada dalla ragione, se si vuole tornare a casa sani e salvi». Ed è cosi che, tra la pubblicazione di un nuovo libro, / sogni non sono in discesa (Rizzoli), preparando la prossima spedizione e cercando di superare altri limiti, uno dei più grandi scalatori della storia ci rilascia questa intervista.
«Non si diventa ricchi e famosi»
Simone Moro, sei in partenza con Tamara Lunger per l’ascesa invernale al Gasherbrum I e al Gasherbrum II. E per la prima volta ti stai preparando con . un metodo scientifico davvero innovativo.
«Si. sono appena uscito da | una camera ipobarica di di-* mensioni importanti (dodici | metri per sei. ndr), la terraX-cube dell’Eurac di Bolzano, dove viene simulato il clima di una vetta, comprese le intemperie a meno 40 gradi. Questo per acclimatarmi, ma anche per fare ricerche scientifiche. Capire, quindi, non solo come risponde il corpo umano ma anche come si comportano determinate strumentazioni, come i gatti delle nevi, i droni o i pannelli solari, a temperature estreme. Poi mi sono sottoposto a diversi esami, tra risonanze magnetiche, prelievi del sangue, analisi del nervo ottico ed ecografie: questi parametri fisiologici serviranno poi ai ricercatori per studiare gli impatti dell’alta quota sulle funzioni cardiache, respiratorie. cognitive e metaboliche».
E anche una strategia per migliorare le performance?
«No, si tratta di studi che dovrebbero elevare il coefficiente di sicurezza per tutti verso sentieri sempre più ripidi. vie ferrate e scalate mi sono innamorato di questo mondo verticale».
E solo l’amore per la montagna che spinge all’impresa?
«Facendo alpinismo non si diventa ricchi o famosi. Se la spinta fosse stata quella economica, tutti i sacrifici e i rischi corsi non sarebbero mai stati ripagati. Il motore è piuttosto la voglia di libertà, l’attrazione per la natura: solo per amore si fanno le vere pazzie».
A casa come hanno preso questa decisione Simone Moro ?
«I miei familiari sono stati i miei primi sponsor, non economici ma rrfotivazionali. Lavoravo la mattina, coloro che sono esposti all’alta o all’altissima quota, come i piloti del soccorso alpino. E questo dà ancora più valore al mio lavoro, che più che una professione è la realizzazione dei miei sogni. Gli allenamenti, la ricerca, le permanenze in camera ipobarica sono tutti momenti entusiasmanti».
Com’è nata la tua passione?
«Non sono un predestinato. non sono nato né a Cortina né a Courmayeur. Fin da piccolo andavo con la mia famiglia in campeggio sulle i | Alpi Orobie, quelle di casa, 1 v in provincia di Bergamo e di ) ti Sondrio. Non sono le Dolo-miti, per qualcuno sono montagne un po’ “sfigate” (ride). ‘ Ma camminando, andando mi allenavo il pomeriggio e frequentavo le scuole serali. Anche all’università, quando ho scelto di laurearmi in Scienze Motorie, alternavo momenti di studio a mesi in cui scalavo le montagne. Le prime spedizioni me le sono .ìutolìnanziate con un mutuo in banca. L’unica raccomandazione della famiglia è quel-a che vale per ogni scalata: -sa la testa prima del cuore».
Che è anche la cosa più difficile per un innamorato…
«Esatto, la parte più dura del mio lavoro è proprio que-! sta: ragionare e non lasciarsi andare a pulsioni irrazionali. Molte volte ho fatto prevalere la saggezza sull’esuberanza. decidendo di ritirarmi da una spedizione anche vicino alla vetta. Ma è questo che mi fa essere ancora vivo a 52 anni. E posso dire di essere in esempio responsabile per i miei due figli e per tutti quelli che mi seguono, soprattutto i più giovani».
Ad alta quota sono molte le incognite in agguato.
«lo mi ritengo fortunato, però ho sempre dato una mano al fato. Non ho mai aspettato di essere nella bufera per capire che c’era un tempo avverso. Sono tornato indietro anche con il sole e con il dubbio che forse ce l’avrei potuta fare. Una volta sola mi è capitato di .raggiungere il campo base senza i miei compagni, e quella è la prova provata che l’imponderabile capita. Come nella vita di tutti i giorni».
«Porto sempre con me la paura»
Qual è l’attrezzo più importante da portare con sé nelle spedizioni?
«Non un attrezzo, ma un sentimento: la paura. E un’alleata, l’ingrediente dell’auto-conservazione. Avere-paura \ è come avere fame o sonno, i Deve essere il campanello i d’allarme, che non deve però j degenerare in panico. E que- i sto si previene preparandosi a ciò che si può incontrare ad alta quota. Per questo è importante essere uno sca- , latore non improvvisato e un ! po’ “fifone”».
Clima permettendo, la tua prossima scalata comincerà proprio mentre noi andiamo in stampa.
«Ho calcolato solo un 15 per cento di possibilità di riuscita. Sarà qualcosa di unico, il coefficiente di difficoltà è più alto del solito ma non temo il fallimento: non voglio ripetere le solite vie. Voglio ispirare le persone a fare qualcosa in più. Voglio esplorare per trovare qualcosa di nuovo. Essere come un ricercatore scientifico che cambia la storia. Scalare una montagna e poi attaccarne un’altra dal punto di vista fisico sarà devastante e avrò bisogno di una finestra di tempo stabile molto lunga. Cosa molto rara oggi…».
Per colpa dei cambiamenti climatici?
«Purtroppo si. Oggi è più difficile scalare alcune montagne perché ci sono più crolli. sezioni pericolanti e bufere inaspettate fuori stagione. Ed è un segnale che porto a casa per fare informazione su questo tema. La cosa grave non è che abbiamo scoperto il cambiamento climatico, è che non stiamo modificando, nemmeno nella vita quotidiana nel nostro piccolo, le nostre abitudini. Chiedetevi: chiudo l’acqua quando mi lavo i denti? Faccio le scale al posto di prendere l’ascensore? Mi muovo in bici invece che in moto? Non dobbiamo aspettare che arrivi qualcuno a fermare il cambiamento climatico, lo dobbiamo fare noi. Uno per uno».
Tutto quello che hai fatto è racchiuso dentro il tuo nuovo libro dal titolo I sogni non sono in discesa.
«È un libro autentica, scritto senza ghostwriter, a differenza di quelli di molti colleghi: la narrazione di ciò che faccio è una delle tappe che mi sono imposto, perché io stesso sono stato ispirato nella mia formazione dalla lettura dei libri di Reinhold Messner e di altri alpinisti. Possiamo definire queste pagine un esercizio di memoria: all’interno si trovano anche i racconti dei passi intermedi, che con le loro piccole scoperte mi hanno fatto diventare quello che sono oggi».
Fino a quando continuerai a esplorare il mondo?
«Fino a quando non vedrò “il nuovo che avanza”. Sono un po’ come il tennista Roger Federer, a cui tutti chiedono quando si ritira. Nell’alpinismo ci sono nuove leve fortissime nell’arrampicata e negli esercizi di abilità, ma nella manifestazione di avventura ed esplorazione a grandissima quota, forse, non c’è ancora nessuno. E allora continuo a farlo
Articolo tratto da Vero.
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